Non voglio un lavoro, ridatemi il mestiere – PARTE 2
Non voglio un lavoro, ridatemi il mestiere – PARTE 2

Non voglio un lavoro, ridatemi il mestiere – PARTE 2

“Trovati un lavoro, così potrai farti una famiglia, comprare una casa e vivere serenamente”.

“Fai carriera, così potrai avere una macchina migliore, una casa più bella e offrire di più alla tua famiglia”.

“Evita i rischi e potrai concederti qualche lusso ogni tanto”.

E ricorda, come recitano l’articolo 52 e 54 della Costituzione italiana, che

“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.”

“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica”

E l’individuo? Un brutta faccenda.L’individuo ha sogni, ambizioni, intuizioni, genialità e pochissimi bisogni. Insomma, praticamente inutile (per non dire “troppo scomodo”) alla società in cui viviamo, la tarda società industriale (TSI), meglio nota come società dei consumi (anche se in realtà sono due cose leggermente diverse).

Infatti, il marketing delle multinazionali (il principale strumento operativo della TSI) si basa proprio su un principio molto semplice: gli attuali mezzi produttivi producono (è il loro scopo!) molto più di quello che gli individui possano aver bisogno di utilizzare (ecco il problema da risolvere). 

Mi rendo conto che il ragionamento è un po’ contorto, quindi lo espongo nuovamente: l’apparato industriale del nostro mondo produce molto più di quello che serve agli individui, quindi, è sorto il marketing con il preciso scopo di farti credere che hai oggettivamente bisogno di “quel qualcosa in più”.

Per “giustificare” l’operazione e non farla sembrare così brutale, il marketing si impegna a mostrarti persone di successo che si concedono beni materiali (più o meno lussuosi) spingendoti a pensare che “se se lo sono concessi loro, è bello e positivo che possa averlo anch’io” facendoti dimenticare che molto probabilmente a loro il prodotto è stato regalato o che dopo aver fatto la pubblicità se ne sono dimenticati e sono tornati ai loro prodotti artigianali, artistici o fatti su misura (alle persone di successo non interessa affatto avere un prodotto industriale fatto in serie… Magari lo pubblicizzano, ma poi nella vita di tutti i giorni usano qualcosa che evidenzi la loro unicità). 

L’oggettività è una grandissima menzogna e uno degli strumenti più potenti del marketing. Semplicemente, l’oggettività non è dimostrabile e non è ripetibile prescindendo dal contesto e dalle condizioni date. Mi rendo conto che anche questo pensiero possa apparire un po’ contorto, quindi faccio un esempio concreto tratto dalla mia esperienza personale.

Il mio hobby principale è la musica, ho suonato praticamente ogni tipo di chitarra esistente e nessuna è oggettivamente migliore delle altre, anche se l’ufficio marketing dell’Ibanez soddisferà qualsiasi capriccio dei suoi testimonial per assicurarti che le sue chitarre sono OGGETTIVAMENTE migliori dei vecchi modelli Fender, il cui ufficio marketing è costantemente impegnato a dimostrare che i suoi ritrovati tecnologici abilmente miscelati alla tradizione sono in grado di soddisfare praticamente CHIUNQUE; allo stesso modo, un musicista fedele alla Gibson non vuole nemmeno sentir parlare di altri strumenti, così come c’è il devoto che tocca solo la chitarra amata dal suo idolo adolescenziale… 

Fortunatamente, non credo mai a niente e a nessuno e quindi ho fatto in modo di mettere le mani su qualsiasi modello reperibile in Italia e sono giunto a due conclusioni:

  1. se suonata con amore e desiderio, qualsiasi chitarra è quella perfetta nel momento in cui la suoni (se suoni quello che vuoi veramente)
  2. ho fatto costruire chitarre di liuteria progettate in base alle mie esigenze e idiosincrasie.

Naturalmente, tutto questo richiede una certa consapevolezza, quindi soggettività, quindi proprio quello che le multinazionali non vogliono che tu abbia.

Fondamentalmente, tutto è nato dal fatto che i progettisti e i produttori della tarda società industriale sono stati proprio bravi e hanno reso più efficaci e più efficienti i mezzi di produzione, facendo in modo di avere molti più prodotti a costi molto più bassi. Sfortunatamente, i proprietari dei suddetti mezzi di produzione (che solo occasionalmente coincidono con progettisti e/o produttori) non hanno optato per la possibilità di estendere queste risorse al mondo intero, ai giovani o agli artisti, ma hanno deciso di spremere fino in fondo l’occidente, dimora fisica della TSI.

A quel punto è stato necessario convincere le persone che avevano oggettivamente bisogno di più cose e anche con una certa regolarità: così è nata la società dei consumi. Una società che ha molti più prodotti di prima, ma rimane con lo stesso numero di fruitori, dovrà necessariamente convincerli a consumare i prodotti per poi acquistarne di nuovi se non vuole buttare via la sovrapproduzione. E così la TSI è diventata la società dei consumi, cioè la società che consuma velocemente un oggetto e lo sostituisce con uno nuovo.

Più recentemente, ciò che viene consumato non è l’oggetto in sé ma il bisogno che si ha dell’oggetto: il marketing è passato dalla volontà di convincerti che hai bisogno di un oggetto tecnologicamente più avanzato, all’intento di dimostrarti che hai un nuovo bisogno (emozionale, mentale, psicofisico, ecc.) che prima non avevi e che quindi hai bisogno di un nuovo acquisto per soddisfare tale bisogno.

E cosa c’entra il lavoro con tutto questo? Semplice: per fare in modo che il numero di consumatori aumentasse (a un certo punto divenne inevitabile) è stato necessario garantirsi un numero crescente di persone in grado di permettersi di consumare.

Uno scrittore vuole carta e penna, poi una macchina per scrivere e oggi un computer.
Un pittore vuole un supporto e pigmenti.
Un musicista vuole uno strumento adatto alle proprie esigenze espressive.
Un inventore vuole una necessità e poi un progetto.
Un imprenditore vuole un’idea e un mercato.
Un insegnante vuole un concetto e un pubblico da far crescere.
Un attore vuole un copione.
E così via.

Tutti, ma proprio tutti, vogliono inoltre emozioni da trasformare in parole, forme, suoni, utensili, oggetti, spettacoli, eccetera. Chi fa davvero tutto questo è un individuo e non un pezzo di un meccanismo più grande progettato per consumare. 

Gli individui sono quelle persone straordinarie che mettono al primo posto le proprie abilità, i propri talenti e i propri sogni invece di agire perseguitate dalla paura. Gli individui hanno pochi bisogni perché passano il proprio tempo a fare ciò che amano. E si sa: questo fa paura (oggi e in occidente) perché richiede consapevolezza, soggettività e autonomia, cioè i principali nemici della società dei consumi e infatti costituiscono il principale bersaglio del marketing, della politica, dell’informazione e dell’istruzione.

Altro esempio. C’è una pubblicità agghiacciante che cito spesso per spiegare un concetto che mi sta molto a cuore.

Tutta la prima parte della pubblicità in questione è emozionante: si vede un pianista a un concerto nel momento in cui termina l’esecuzione, con il pubblico in visibilio; subito dopo la telecamera si avvicina al volto soddisfatto del musicista e con un effetto hollywoodiano passa dagli occhi alla mente del pianista, iniziando un viaggio all’indietro nel tempo in cui si vedono tutti i sacrifici che il ragazzo ha dovuto affrontare (notti insonni a studiare, litigi con la fidanzata gelosa della musica, ore seduto al pianoforte per affinare la tecnica…) sempre andando indietro nel tempo, fino ad arrivare al musicista bambino che per la prima volta schiaccia un tasto del pianoforte e sorridendo decide a cosa dedicare la propria vita. Insomma, un climax di emozioni e di entusiasmo e proprio nel momento emozionalmente più significativo, arriva lo slogan: “nuova xyz, tua a partire da tot, il prezzo dell’unicità è cambiato!”

Guardiamo la pubblicità al contrario, quindi avanti nel tempo: un bambino è talmente innamorato della musica che decide di dedicare la sua vita a questo sogno e affronta con entusiasmo e coraggio il viaggio che conduce al successo. Naturalmente, tutto questo è impegnativo, rischioso e a volte incomprensibile… Certo, in cambio ti dà l’unicità… Ma siamo proprio sicuri che ne valga la pena? Dai, lascia stare, rinuncia ai tuoi sogni: oggi puoi sentirti unico condividendo il sogno di qualcun altro e utilizzando i tuoi soldi (che naturalmente hai guadagnato lavorando) per sentirti un po’ meglio. 

Non importa se domani i sogni torneranno a bussare alla tua porta, ci sarà già un’altra pubblicità pronta a demolirli. 

La pubblicità dell’esempio è di un’automobile, e ti invito a fare una riflessione: i modelli cosiddetti top di gamma di questa casa automobilistica non hanno una pubblicità. Perché? Perché costano molto più del modello in questione, e chi può permetterseli sicuramente non lavora (cioè non baratta il proprio tempo e la propria energia con il denaro) ma fa qualcosa di diverso e più avanti vedremo cosa e come.

Pensaci bene: il lavoro, così come lo conosci, serve davvero a te per permetterti di acquistare ciò che vuoi veramente e che ti serve per esprimerti? Oppure le multinazionali e lo Stato hanno bisogno che tu lavori affinché tu riesca a pagare ciò che loro producono (e che attraverso mezzi manipolativi di massa fanno in modo che tu desideri)?

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