Ascoltare per comunicare – Seconda parte
Ascoltare per comunicare – Seconda parte

Ascoltare per comunicare – Seconda parte

Tra i racconti che ho scritto “Se rinasco” è forse quello che meglio esplicita l’ascolto attivo di cui ho scritto nel precedente intervento. Per come lo racconta – un monologo da conversazione casuale – e per come è stato scritto.

All’iniziale sfogo dell’autista (vero, come ho già scritto) segue il lamento sulla figlia mandata in Inghilterra che non ha combinato nulla; ma è quella di uno dei tanti tassisti romani con cui ho avuto modo di chiacchierare. Che già i tassisti, come certi barbieri, sono deputati ad essere cantastorie, ma il meglio viene quando, appunto come in questo caso, vanno nel personale. E ci risparmiano la solita tiritera che – come disse George Burns – generalmente li qualifica:

“È un vero peccato che le uniche persone in grado di risolvere tutti i problemi del mondo siano condannate a guidare Taxi”.

I mille disservizi vissuti sulla propria pelle, sempre gli stessi, sempre diversi, li ho raccolti invece in mille file agli uffici pubblici. Luogo deputato allo sfogo “vulcanico”, senza apparente filo conduttore se non quello del lamento, ma che, con giusto un filo di empatia e di complicità, permettono l’ascolto di storie personali, quasi intime, svelate allo sconosciuto ascoltatore solo in virtù della comune sofferenza nel disservizio.

La storia della pleurite è liberamente tratta da una scena di “Totò e le donne”. Ricordata per la grande, grandissima, capacità dei due attori coinvolti – appunto Totò e Ave Ninchi – di rendere vero, plausibile e condivisibile, un copione.

Il fidanzamento contrastato dalla suocera è, molto romanzato, il primo incontro che ho avuto con la mia, di suocera. Da dimenticare, nel suo essere indimenticabile. Perché l’ascolto si fa anche delle storie e delle vicende in cui siamo protagonisti.

Come il sorriso della moglie del protagonista e cosa scaturisce da questo. Insomma, come quasi tutte le cose che scrivo, il racconto non è basato su una storia vera, ma su storie vere.

Molti hanno scritto su questo argomento; io la faccio semplice, cercando di riassumere quello che ho letto in merito. Bisogna proporre un cambiamento di punto di vista.

Costruire il racconto in un senso che il lettore o l’ascoltatore senta come indiscutibilmente portato verso un finale atteso e poi, più o meno improvvisamente, proporre una lettura differente di tutto quanto già sentito. Non a caso la teoria alla base dell’improvvisazione Jazz.

Per me questo è quello che trasferisce l’emozione e che, di converso, coinvolge.

E fa sì che, chi ascolta, ricordi la storia.

SE RINASCO

La vede quest’autocisterna? È costata 80000 Euro, 60000 sono di tasse.
Tutto si mangiano, tutto.
Guardi lei: qui la stazione di servizio, lì una banca, là una assicurazione. Tre robe che rovinano il mondo.
Noi a lavorare come dei cretini e quelli li a ridersela su di noi.
Io lo dico sempre, se rinasco faccio il ladro. Tanto, che serve essere onesti?
Uno si ammazza per tirar su quattro soldi, per far studiare i figli. Che pure quelli oh!
Io mia figlia l’ho mandata pure a Londra, che doveva studiare l’inglese, doveva fare questo, quello e lei invece non ha combinato niente.
Mia moglie ci piange, che lei vuole pure il nipotino.
Figurati, quella c’ha sto fidanzato che non serve a niente, figurati il nipotino!
Eh, i giovani. Se avessi io la loro età, gli farei vedere!
Io glielo dico: “lasciala perdere tua figlia, non ha mai combinato niente di buono.”
Ma difatti: se torno indietro figli non ne faccio. Ma neanche mi sposo.
Non è per mia moglie, poveraccia. Che mo’ c’ha pure qualcosa che il dottore non capisce.
L’ho portata al San Camillo, ma lì sembra che a visitarti ti fanno un favore!
E non ci abbiamo capito niente. Con ‘sto dottorino giovane, uscito ieri dall’università. Sta lì a dirti paroloni che non si capisce e piglia un bello stipendio col suo camice bianco.
Bella vita, se rinasco faccio il medico!
Solo che lei sta male, poveraccia. Soffre ma fa finta di niente.
E guardi che quella è un toro eh?
Tre ne ha tirati su, e mi stava pure dietro a me quando ho avuto la pleurite che non potevo più guidare e non si sapeva come andava a finire.
Mi ricordo, quante gliene ho fatte passare!
Povera moglie mia, però ci vogliamo bene ancora come se fosse il primo giorno.
Quando eravamo giovani la domenica la passavo a prendere in moto, di nascosto, che sua madre non mi poteva vedere, la vecchia.
Ci urlava dal balcone! Di tutto mi diceva, che io mi ero nascosto dietro l’angolo di casa e quelli del bar davanti ridevano.
Poi dopo m’ha capito e m’ha voluto bene.
Che gliene ho voluto anch’io che quando è morta ho pianto più io di mia moglie.
Che quelli del comune non ci riconoscevano l’indennità e si sono messi a sollecitare dal giorno del funerale.
Ecco, quello lì è un bel lavoro: stai li tutto il giorno a menar l’anima agli altri ma quando vai allo sportello non c’è mai nessuno, tutti impegnati.
Lo dico sempre io: se lo dovessi rifare la portavo io al cimitero, con la cisterna. Tanto, andare per andare…
Ma mia moglie non s’è lasciata fregare eh?
Gliele ha cantate per bene, e quelli dopo a chiederle scusa!
E lei mi sorrideva e mi diceva: “hai visto?”.
Che mia moglie quando sorride c’ha sto sguardo che sembra sempre la ragazzetta che mi portavo a ballare la domenica.
E io glielo dico sempre:
“Se rinasco ti sposo un’altra volta.”

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